Il manifatturiero italiano deve tornare a crescere e per farlo bisogna ripartire dalla fabbrica. Portare lavoro in Italia si può, a patto che le aziende che decidono di farlo non siano lasciate sole.
È questo il messaggio emerso dall’Assemblea Annuale di ANIE Confindustria, che si è tenuta il 2 luglio a Milano. Reshoring, innovazione ed education sono stati i tre grandi temi affrontati nel corso dell’evento, aperto dal Presidente di ANIE, Claudio Andrea Gemme, alla presenza di Lisa Ferrarini, Comitato Tecnico per la Tutela del Made In e la Lotta alla Contraffazione di Confindustria; Maurizio Pernice, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche, Diana Bracco, Presidente di Expo 2015 Spa e Commissario per Padiglione Italia, e del Sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Il back reshoring, che consiste nel rientro in patria dei siti produttivi precedentemente delocalizzati all’estero, è stato al centro di uno studio realizzato dalla Federazione con il contributo di Luciano Fratocchi, professore di Ingegneria economico-gestionale all’Università de L’Aquila e portavoce del gruppo di ricerca italiano Uni-Club MoRe Back Reshoring. Dallo studio emerge che i settori ANIE rappresentano quasi il 20% del totale del fenomeno italiano, piazzandosi in seconda posizione alle spalle solo di abbigliamento e calzature. Est Europa (38,5% dei casi) e Cina (30,8%) sono le aree geografiche da cui si ritorna di più, per un fenomeno che si origina nel 40% dei casi dalle piccole e medie imprese. Tra le motivazioni più rilevanti per il rientro, il minore controllo della qualità della produzione all’estero (“molto rilevante” per un terzo delle aziende ANIE intervistate), la necessità di vicinanza ai centri italiani di R&S (25%) e i maggiori costi della logistica (22%).
“L’ultimo decennio, a causa di due violente recessioni estremamente ravvicinate, ha cambiato la storia dell’industria manifatturiera – ha commentato Claudio Andrea Gemme, Presidente di ANIE Confindustria. – Tuttavia la new economy basata solo sulla finanza e sui servizi è fallita: senza la manifattura il Paese muore. Il nostro studio ci dice che tornare a produrre in Italia non è utopistico. Qualcuno ha già iniziato a farlo, altri lo farebbero se si creassero le condizioni per poter lavorare: abbattimento della pressione fiscale e della burocrazia, detassazione degli utili reinvestiti in ricerca e innovazione, valorizzazione del know how tecnologico e della qualità del made in Italy, promozione degli asset strategici del Paese”.
Dall’indagine condotta da ANIE presso le aziende associate emerge la ferma vocazione all’innovazione: il 60% delle imprese ha dichiarato di aver investito in R&S nel triennio 2011-13 una quota di fatturato superiore al 2%; ben il 40% ha inoltre segnalato un’incidenza della spesa in Ricerca & Sviluppo sul fatturato addirittura superiore al 4%.
Forte anche la propensione al cambiamento in ambito aziendale: per il 72% delle imprese un nuovo modello organizzativo è alle porte e verrà attuato completamente nel settore elettrotecnico ed elettronico già entro il 2017. Per il 65% degli intervistati, inoltre, la strada verso nuovi standard di organizzazione aziendale è già concretamente in atto. Basti pensare che, secondo lo studio, per oltre la metà delle aziende ANIE l’adozione delle più moderne tecnologie di ICT e ITS (Internet of Things and Services) è completamente avviata da tempo; l’8% di loro ha appena intrapreso questo cammino e il 25% conta di farlo entro breve. Insomma, la fabbrica 4.0 è una realtà molto più prossima di quanto si creda.